Onorevoli Colleghi! - Nicola Calipari moriva in Iraq il 4 marzo 2005 mentre stava completando una difficile missione. Il Governo italiano aveva affidato all'agente del SISMI il compito di liberare Giuliana Sgrena e di ricondurla sana e salva nel nostro Paese.
      Il dottor Calipari aveva compiuto la missione con successo, ottenendo la liberazione dell'ostaggio che stava trasportando in tutta fretta all'aeroporto per il viaggio di ritorno in Italia. Ma allorquando la notizia della liberazione di Giuliana Sgrena fa il giro del mondo accade che la Toyota Corolla argentata su cui viaggiano Giuliana Sgrena, Nicola Calipari ed il maggiore dei carabinieri Andrea Carpani viene colpita dai micidiali colpi sparati da militari americani appostati ad un posto di blocco a poche centinaia di metri dall'aeroporto.
      Nicola Calipari, servitore dello Stato, muore sul colpo, mentre Giuliana Sgrena e Andrea Carpani vengono feriti gravemente.
      Pochi giorni fa il Ministero della giustizia italiano ha ufficialmente fatto sapere che il Dipartimento di giustizia del Governo USA si rifiuta «in modo definitivo» di fornire alle autorità italiane ulteriori informazioni sulle circostanze in cui Calipari morì ed ha respinto la richiesta di rogatoria internazionale volta a comunicare a coloro che la magistratura italiana

 

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ritiene i responsabili materiali dell'uccisione di Nicola Calipari la conclusione delle indagini.
      Per gli USA quindi «il caso è chiuso» e la loro versione definitiva dei fatti è quella contenuta nel rapporto del Multi National Corps-Iraq.
      Noi italiani dovremmo quindi accontentarci di quel documento del gruppo di indagine congiunto, non firmato dalla parte italiana, che nulla chiarisce sul contesto in cui avvennero i fatti e che venne diffuso con una serie incredibile di omissis volti a coprire le responsabilità dirette ed indirette di quella tragedia.
      Non si tratterebbe infatti solo di accertare chi quella notte sparò contro la macchina, ma anche perché lo fece e per quale ragione non era stato rimosso il posto di blocco dopo che l'allora ambasciatore in Iraq, John Negroponte, era già arrivato a destinazione.
      L'atteggiamento del Governo USA potrebbe sembrare paradossale. Con questo ultimo atto il Governo americano ha infatti rifiutato di rivelare nomi che in realtà sono ormai universalmente noti malgrado i tentativi USA di occultarli.
      I nomi dei responsabili diretti della morte di Calipari sono infatti di dominio pubblico dal giorno in cui un semplice trucco informatico consentì di leggere gli omissis che costellavano la relazione della commissione di inchiesta. La messa in chiaro di quegli omissis consentì infatti di scoprire i nomi dei sette militari USA coinvolti nella uccisione di Calipari e nel ferimento di Giuliana Sgrena: tra questi, il capitano Michael Drew come comandante, Robert Daniels, ufficiale della compagnia 1-69IN, Nicolas Acosta luogotenente che guidava il posto di blocco BP541, ma soprattutto il nome del soldato americano Mario Lozano, lo «specialista» della Guardia Nazionale, che materialmente aprì il fuoco in quella tragica notte, che conseguentemente è ora indagato dalla magistratura italiana per omicidio volontario e lesioni.
      Se oggi il Governo USA non può più garantire l'anonimato dei propri militari coinvolti nell'omicidio, può però, attraverso la mancata collaborazione, impedire per l'ennesima volta agli investigatori italiani di avere accesso ai documenti ed alle fonti necessarie a far chiarezza sull'omicidio.
      Onorevoli colleghi, questo deliberato boicottaggio ovviamente viola ogni regola di leale collaborazione reciproca tra paesi alleati. Siamo di fronte alla più sfacciata delle provocazioni nei confronti dell'Italia.
      Non solo si pretende l'impunità per gli autori di un delitto che ha colpito la coscienza civile e democratica del nostro Paese, ma si cerca di negare all'autorità giudiziaria italiana di processare quei protagonisti diretti dell'episodio e di impedire all'intero Paese di conoscere da costoro la ricostruzione diretta degli ordini, delle disposizioni, delle informazioni di cui essi disponevano in quella tragica notte.
      Per la magistratura diventa quindi difficilissimo verificare con fonti dirette la versione dei fatti statunitense. Gli USA hanno infatti sempre giustificato l'accaduto addebitando «l'incidente» ad una serie incredibile di disguidi, incongruenze ed errori che avrebbero coinciso con il trasferimento dell'ambasciatore Negroponte verso l'aeroporto di Baghdad.
      È pertanto evidente che l'atteggiamento del Governo USA non consente né di processare i presunti colpevoli né di verificare la versione dei fatti fornita dalle autorità militari americane.
      Ci troviamo pertanto di fronte al perpetuarsi di una pratica da parte dell'Amministrazione USA che sin dal momento della morte di Calipari esplicitamente agisce per impedire o ritardare l'accertamento della verità, pratica difficilmente superabile con i soli mezzi della magistratura, pur se impegnata in modo determinato ed efficace a reperire ogni strumento utile all'accertamento della verità. Purtroppo, infatti, dobbiamo constatare che sin dalle prime ore successive all'uccisione di Nicola Calipari si sono succeduti fatti che hanno impedito agli investigatori italiani di venire in possesso di tutte quelle informazioni necessarie ad una ricostruzione veritiera dell'episodio e del contesto in cui quest'ultimo sarebbe avvenuto.
 

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      Molte ricostruzioni, anche inverosimili, sono state invece accreditate dal Governo USA o da quelle autorità irachene che gli stessi USA hanno insediato in Iraq. L'ultima di queste fantasiose ricostruzioni è quella fatta filtrare da Mustafà Mohamed Salman, un presunto terrorista pentito e detenuto in Iraq, che avrebbe dichiarato alla polizia locale di sapere che furono gli stessi rapitori della Sgrena ad indurre la pattuglia USA che presidiava il posto di blocco sulla Route Irish, ovvero la strada verso l'aeroporto di Baghdad, a sparare sull'auto sulla quale viaggiava Calipari.
      Colpisce il fatto che questa informazione sia arrivata alla magistratura italiana poco tempo dopo che un ex funzionario della NSA (National Security Agency) Wayne Madsen, (ex consulente del progetto di intercettazione Echelon) aveva invece reso noto che le autorità USA intercettarono Calipari durante l'intero periodo della sua missione in Iraq, compresi gli ultimi spostamenti.
      Secondo questo ex agente dei servizi americani, quindi, gli USA conoscevano tutti gli spostamenti di Calipari e avrebbero quindi saputo esattamente la sua posizione al momento della sparatoria del 4 marzo 2005.
      Che ciò fosse possibile è confermato in modo indiretto dallo stesso rapporto USA, laddove si sostiene che Calipari non rallentò la corsa dell'auto perché contemporaneamente stava parlando al telefono cellulare. Che ciò fosse probabile, se non sicuro, lo dice il buon senso, dato che in zona di guerra (e l'Iraq purtroppo era allora ed è tuttora zona di guerra), tutte le comunicazioni cellulari e satellitari sono ovviamente intercettate.
      Va ancora ricordato che, proprio a causa delle incongruità presenti nella ricostruzione di parte USA, i rappresentanti italiani non firmarono conclusioni della Commissione di inchiesta congiunta che doveva fornire una versione condivisa dei fatti e presentarono una autonoma relazione.
      Non pare affatto credibile che Nicola Calipari sia morto per una tragica fatalità come da sempre sostenuto dagli USA che hanno sempre teso ad accreditare l'idea che l'auto fu colpita in quanto viaggiava a velocità eccessivamente elevata e quindi fu scambiata per una possibile fonte di pericolo.
      Ma se anche alla fine delle inchieste venisse accertato che per sbaglio, e solo per sbaglio, la pattuglia sparò sulla Toyota, ciò non ci si può esimere dal ricercare la responsabilità non solo di colui che ha sparato ma anche di chi non ha comunicato o di chi non ha preso le necessarie misure per impedire che ciò accadesse.
      Tutto ciò premesso, onorevoli colleghi, risulta essere molto significativa la necessità di fare definitiva chiarezza su quali e su quante informazioni fossero a disposizione del comando militare americano circa la presenza di Calipari in Iraq. Un uomo esperto come Calipari non avrebbe certo scelto per caso di non informare il comando americano come sembra emergere dalla relazione dell'allora ufficiale di collegamento con le forze alleate a Baghdad. Se si dovesse stabilire che Calipari ed il comando del SISMI decisero di agire senza informare in alcun modo dell'operazione di liberazione dell'ostaggio e dell'esito della stessa i comandi USA, allora si renderebbe necessario un approfondimento sullo stato della collaborazione operativa tra forze USA ed agenti italiani sul campo.
      Non si può dimenticare infatti come, nei mesi precedenti la morte di Calipari, in relazione alla gestione da parte del Governo italiano di altri sequestri come quello di Simona Torretta e Simona Pari, c'era stata una dura polemica da parte del Governo USA nei confronti dell'Italia nel corso della quale era più volte emersa una forte differenza tra i due Paesi circa la «gestione» dei sequestri, tanto che molti esponenti USA avevano censurato la condotta italiana considerandola troppo «arrendevole» nei confronti dei rapitori.
      Nella scorsa legislatura parte dell'opinione pubblica e persino alcuni parlamentari si sono spinti sino ad avanzare la più terribile delle ipotesi, e cioè che «le tragiche coincidenze» furono tutt'altro che casuali, ma il drammatico frutto di «incidente» ricercato per mettere fine alla
 

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linea negoziale italiana per la liberazione degli ostaggi.
      Da questa limitata e preliminare ricostruzione degli avvenimenti ci sembra che emergano molte gravi ragioni, nonché un dovere nei confronti della Repubblica e della memoria di un leale servitore dello Stato, che a nostro avviso dovrebbero portare il Parlamento ad indagare al più presto e fino in fondo su ciò che è accaduto.
      Ci auguriamo che l'intero Parlamento, ben oltre gli steccati politici di maggioranza ed opposizione, accolga questa proposta di istituzione di una Commissione di inchiesta parlamentare con la quale contribuire ad accertare la verità e ridare dignità al nostro Paese.
 

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